Perché
Steinbrecht? Quale motivo ci ha indotto a scegliere questo Autore, ai
più totalmente sconosciuto? In Italia non possiamo certo dire che
fervano le discussioni sulle tecniche equestri. Per lo più qualche
riferimento alle teorie dei caprilliani, e anche questo di sfuggita.
Solo sparuti gruppi di appassionati a volte si avventurano sul
terreno culturale e le citazioni dei più dotti si limitano a
Robichon de La Guérinière, Baucher, vaghi accenni a L’Hotte, ma
spesso alcune certezze: la scuola francese rappresenta arte, finezza,
rispetto del cavallo, poesia; la scuola tedesca, al contrario,
durezza, violenza, costrizione, esecuzione forzata, meccanicismo,
rigidità. Abbiamo quindi voluto approfondire, non per sentito dire,
ma de visu, se queste affermazioni avevano un fondamento reale, e ci
siamo messi in quest’impresa: la traduzione di “Das Gymnasium des
Pferdes”, che rappresenta, non solo uno dei capisaldi della scuola
tedesca, ma anche, oserei dire, una pietra miliare dell’arte di
addestrare i cavalli.
Il
primo impatto è durissimo; la minuziosità delle descrizioni, che
rasenta la pedanteria, rende l’approccio difficile, ma, mano a mano
che ci si addentra nella lettura, si scopre una fonte inesauribile di
conoscenze, di indicazioni, di cultura. Steinbrecht ne esce come un
gigante dell’Arte Equestre, un genio che trae le proprie origini
dai vecchi maestri, a cui costantemente fa riferimento, e si proietta
nella modernità, vero punto di congiunzione tra la scuola classica e
la scuola moderna, addirittura precursore dei “nuovi maestri’’.
L’impostazione del suo pensiero, tutto imperniato sulle flessioni e
sul lavoro su due piste, lo legano al più classico degli autori, La
Guérinière, con un’attenzione nella ricerca e nella tecnica che
non ha eguali; puntiglioso, preciso, focalizza gli elementi
principali senza tralasciare gli aspetti collaterali, sottolineandone
l’importanza e chiarendo le possibili scorrettezze di
interpretazione con un graduale e costante approfondimento che
permette anche al neofita, al cavaliere ancor acerbo, purché dotato
di grande passione, di percorrere teoricamente il cammino verso un
serio addestramento del cavallo.
In
che cosa consiste la grande modernità di questo maestro? Secondo me,
nella costruzione dell’elemento tecnico, attraverso un’analisi
sottile della dinamica e dell’anatomia del cavallo, per adeguare
quello a questo nell’assoluto rispetto della sua integrità fisica,
anzi con l’obbiettivo di migliorarne la solidità, la serenità, la
resistenza alle fatiche. E ciò al fine di farne un compagno di
lavoro sereno che unisca al nostro piacere di montare la bellezza di
andature dinamiche, attive, fresche, sciolte, piene di impulso, ma,
nello stesso tempo, calme e tranquille.
Solo
la serenità che deriva da una consolidata certezza di non essere mai
sottoposto a violenze fisiche né psichiche, neppur a quelle
involontariamente scaturite dall’incapacità o dall’ignoranza sia
tecniche, sia teoriche, permette al cavallo di affidare le proprie
forze al suo addestratore in modo tale che le arie scaturiscano da
sole, nel momento in cui è fisicamente pronto a darle. E non è
forse in ciò l’essenza dell’arte equestre? saper giungere a tale
comunione di sensi da poter ottenere, senza violenza né coercizione,
tutte quelle arie che si dicono d’alta scuola, ma che rappresentano
i più naturali e svariati movimenti che il cavallo offre “nella
sensazione esaltante della propria forza, felice della propria
libertà”. Seguendo gli insegnamenti di Steinbrecht, si ottengono
risultati assolutamente straordinari in tal senso, tenendo ben fisso
però un elemento: il tempo. Non può esserci un tempo definito per
ottenere ciò, non ci si può porre altri obiettivi se non il
conseguimento del fine prefissato dall’addestramento. La nostra
epoca esige tempi brevi, il cavallo no. Ogni singolo soggetto ha i
propri tempi, gravati ancor più dalla frequente incapacità del
cavaliere, in ciò Steinbrecht non lascia spazio alle esigenze della
competizione. Il fine dell’addestramento è il consolidamento
fisico e psichico del cavallo, per qualsiasi genere di uso, dal
salto, al rettangolo, allo spettacolo (egli stesso ha preparato
numerosi cavalli per i circhi più famosi dei suoi tempi), ed è
quindi un lavoro continuo che deve però porre al centro il cavallo e
non altri fini personali.
Acerrimo
nemico di Baucher e dei “baucherizzatori”,
che
considera come i peggiori nemici dell’arte equestre, perché,
sostiene, trasformano i cavalli in animali privi di volontà, vigore,
energia, per farne degli zimbelli da esibire negli spettacoli,
incapaci di qualsiasi attività, perché violentati, oltre che
fisicamente, soprattutto psichicamente. E non possiamo dargli torto,
se consideriamo gli epigoni nostrani del maestro francese. A riprova
di quanto sostenuto, bisogna ammettere, che si incontrano molto
frequentemente atteggiamenti psicotici, quali il ticchio, il ballo
dell’orso, l’aggressività, la tendenza a mordere nei cavalli
“baucherizzati”. Ma non si ringalluzziscano i sostenitori della
scuola tedesca, soprattutto della più attuale, perché certamente
Steinbrecht non difende né professa le loro idee: considera la
coercizione con strumenti vari, chambon, redini di ritorno e
quant’altro, come la peggiore delle iatture e certamente
inorridirebbe di fronte a cavalieri che, per protagonismo, acquistano
cavalli ben addestrati ed in pochi mesi li rendono assolutamente
inutili.
D’altra
parte è anche un acerrimo nemico di tutti gli ignoranti, che, senza
le sufficienti conoscenze anatomiche, fisiche, cinetiche del cavallo,
né alcuna preparazione culturale in merito, si improvvisano
sedicenti addestratori, giustificando la propria ignoranza con una
presupposta osservanza delle teorie di addestramento “naturale”.
Costoro, oltre a non ottenere che risibili risultati, minano
fisicamente i malcapitati animali che hanno nelle loro mani, e li
distruggono a tal punto da farne i migliori e più costanti pazienti
dei veterinari. Anche di questo abbiamo amplissima riprova in
molteplici scuderie, dove incontriamo cavalli che a tredici,
quattordici anni invece che essere nel pieno del loro fulgore e della
maturità fisica e psichica devono essere abbandonati al loro destino
perché, spesso, addirittura incapaci di reggersi, per le zoppie, i
dolori dorsali, le tare molli e dure, i vizi psichici, insomma la
tragica conclusione di un addestramento che, per ignoranza, si è
trasformato in un calvario per il povero animale. Con la sua
meticolosità Steinbrecht mette in guardia costantemente dagli errori
che si possono commettere nell’addestramento e, con un’insistenza
continua, sottolinea l’importanza del rispetto del fisico e della
psiche del cavallo per non tradire il fine ultimo dell’addestramento:
sviluppare al massimo le forze e la scioltezza, mantenendo integre la
serenità e la fiducia dell’animale.
La
voce di questo geniale cavaliere non può essere incasellata nella
precostituita bacheca sopra descritta, infatti è considerato da
Decarpentry il più aderente seguace della scuola classica francese
del suo tempo; e ciò nonostante egli sia il maestro di Plinzner a
cui addirittura affida la stesura del proprio testo, che
pubblichiamo, ma di cui non avrebbe potuto certamente, poi,
condividerne la deriva. Steinbrecht, infatti, scrive di proprio pugno
“Das Gymnasium des Pferdes” sino al capitolo del galoppo, poi, in
punto di morte, lascia all’allievo che riteneva avesse meglio
appreso le sue idee, Plinzner, gli appunti per la stesura degli
ultimi capitoli. Per la verità, pur riconoscendo un’altra mano,
possiamo affermare che nella prosecuzione dell’opera non vengono
mai traditi i principi a cui il maestro si era ispirato, anche se
invece, più tardi, il suo allievo prenderà ben altre strade.
Ma
tornando alla modernità del maestro tedesco, oltre al grande
rispetto per l’animale, che lo contraddistingue assolutamente,
anche tra i più progrediti suoi contemporanei, ritengo che
l’elemento essenziale e dominante, che lo situa tra i più moderni
e recenti cultori dell’arte, sia l’analisi accurata e puntuale
della dinamica e della cinetica del cavallo quale mezzo di dialogo
corporeo col cavallo, che, precorrendo in tal senso l’intuizione
caprilliana del saltare in accordo col cavallo, preconizza
addirittura, per così dire, le teorie
scientifico – dinamiche di Philippe Karl
e le teorie sull’isodinamica di Andrè Slavkov vivace e classico
tra i “nouveaux maitres’’.
Ma
il lettore si stupirà di incontrare, strada facendo nella lettura,
una serie di citazioni che si trovano in molti riassunti e libretti
di tecnica equestre e che orientano a tutt’oggi il modo di
cavalcare. Certamente questi elementi tecnici, che talora si sentono
citare anche a sproposito, pur non determinando quei risultati che
potrebbero, perché avulsi dal loro contesto ed impalco teorico, e
spesso, assemblati con improvvisazioni o spezzoni tecnici di
tutt’altra derivazione, producono al fine un guazzabuglio inutile,
ciò nondimeno testimoniano quanto in profondità sia andato
l’insegnamento di questo grande maestro, tanto da resistere,
nonostante il passare degli anni, diffusamente anche nel nostro
paese. Ne vorrei citare uno per tutti: la mezza fermata, che oggi da
alcuni viene riferita ad una transizione in alt non completata, altri
invece la considerano una contrapposizione degli effetti di impulso e
di ritenuta breve e momentanea; si tratta, invece, di una delle
teorizzazioni innovative di grande rilievo di Steinbrecht, che la
descrive con dovizia e meticolosità come transizione con aiuti
diagonali, di gamba interna e di redine esterna, che prepara prima
l’una poi l’altra metà del cavallo alla fermata, per arrivare
poi, con esercizi successivi, ad una fermata che accordi gli aiuti di
ambedue i lati. In altri termini è ciò che Nuno Oliveira riprende,
definendola transizione all’alt in spalla in dentro, vero caposaldo
dell’addestramento.
Il
Generale Decarpentry dice del libro di Steinbrecht: “un vero
monumento dell’arte equestre…. quest’opera costituisce la più
completa esposizione dell’Antico Testamento Equestre, in
contrapposizione al Nuovo Testamento di Baucher, in esso sono
fedelmente esposti i principi del metodo di La Guérinière e
sapientemente sviluppati”.
Siamo
quindi veramente felici di poter offrire quest’opera agli
appassionati e veri amanti di questo straordinario e magnifico
animale; ringraziamo di cuore le gentili traduttrici Giuliana Belli
e Marzia Biraghi che hanno penato non poco, coadiuvate da Anna
Benetti per la stesura, a produrre una traduzione integrale, il più
aderente possibile al dettato del maestro, e non è cosa da poco! In
qualche paragrafo la traduzione non scorre fluida come avremmo
voluto, ma a volte le difficoltà incontrate per rendere esattamente
il pensiero dell’Autore ed il desiderio di non alterarne
minimamente lo spirito, hanno prevalso sulle esigenze stilistiche.
Anche per quest’opera siamo alla mercè dei nostri modesti fondi e
ci auguriamo che non accada, come per altre nostre trascorse
esperienze, che ci siano troppi refusi o addirittura interi brani
alterati dai vari passaggi tra computers. In caso contrario i lettori
ci scuseranno, ben sapendo che saremo sempre pronti a correggere gli
eventuali errori.
Da
ultimo vorrei precisare il perché non compaiono note, né a margine,
né a piè pagina. Abbiamo inteso offrire ai lettori la stesura così
come l’autore la fece, senza interpretazioni, ritenendo questo
libro, certamente un poco ostico, ma nel contempo tanto chiaro e
lineare da non richiedere alcun intervento estraneo. Speriamo con
questo grande sforzo di poter contribuire ad un recupero della
cultura equestre, così necessario per il nostro paese ed altrettanto
indispensabile per il cavallo, nobile animale e sicuro compagno.
Giancarlo
Mazzoleni
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