Dal 1933 al giugno 1939, ho frequentato tutti i concorsi
internazionali d’Europa e diversi concorsi nazionali stranieri come giudice
delle prove di dressage. Dopo il 1947, ho avuto l’onore di presiedere la giuria
della Federazione Equestre Internazionale per le medesime prove. D’altra parte
quattordici anni passati alla Scuola di Cavalleria, di cui otto come écuyer, mi
hanno permesso di studiare da vicino i nostri cavalieri militari, tra cui sono
stati scelti esclusivamente sino ad oggi tutti i concorrenti francesi per queste
prove.
E seguendo questi campioni di concorso in concorso sono
stato indotto a varie osservazioni che credo sia utile esporre, ed ecco qui le
principali.
In primo luogo, l’approccio francese manca di uniformità.
Nella stessa squadra ho rilevato spesso qualità molto differenti e spesso
difetti quasi opposti, cosa che ha permesso poco tempo fa ad un critico
straniero di sostenere – e senza benevolenza - che lo “stile francese non
esiste più”, questo non è esatto.
In seguito, in alcune nostre presentazioni in cui le alte
difficoltà delle riprese sono state risolte più che onorevolmente, si
rilevarono per contro alcuni gravi errori nei movimenti più semplici, come se
l’educazione iniziale dei cavalli fosse stata trascurata. Sembrava che fosse
carente il legame tra questa e l’educazione superiore di cui tuttavia avevano
dato prova. La “poesia equestre” era armoniosa, ma trasparivano qua e là degli
errori di ortografia. Succedeva spesso che il tal cavallo, che aveva ricevuto
dalla giuria un voto elevato, per esempio per i cambiamenti di piede e il
passage, perdesse un importante numero di punti per una volta che risultava
modesta per troppa negligenza o per una semplice appoggiata scorretta in modo
sbalorditivo.
È stato quasi sempre così che ci è sfuggito il completo
successo.
Questi difetti hanno certamente delle cause di vario ordine
e, senza pretendere di scoprirle tutte, mi sembra di poterne distinguere con
esattezza molte.
Le riprese imposte nelle situazioni internazionali di
dressage superano di molto in difficoltà quelle eseguite nelle nostre scuole
militari, ivi comprese le riprese degli écuyers.
L’insegnamento ricevuto dai nostri ufficiali mira
esclusivamente - e molto saggiamente - a soddisfare le sole esigenze
dell’equitazione militare, che sono molto meno severe di quelle
dell’equitazione accademica.
L’ufficiale che intraprende la preparazione di un cavallo
per le prove internazionali di dressage supera dunque i limiti della propria
cultura equestre; pressato dalle nuove difficoltà, dimentica di assicurarsi se
il cavallo possieda “a fondo” l’istruzione elementare indispensabile e sul
pressapochismo di questa educazione di base, che sarebbe sufficiente per un
cavallo dell’esercito, pretende di sviluppare una cultura artistica di cui la
correttezza e la precisione sono qualità essenziali.
Sembra che questo errore di partenza sia stato
frequentemente commesso dalle nostre equipes, e sembra anche che la nozione
“del bene e del male” non si sia sempre fissata esattamente in certi
concorrenti che, del resto, danno prova di destrezza nelle prove avanzate di
dressage.
Per passare all’equitazione superiore, l’allievo
addestratore sarebbe presuntuoso se contasse soltanto sulle proprie convinzioni
e sulle proprie felici disposizioni. Gli serve una guida.
È difficile trovare un insegnamento orale appropriato. In
Francia, l’equitazione accademica è poco seguita e malauguratamente confusa con
l’equitazione da circo, in ogni caso molto diversa.
È dunque agli insegnamenti scritti che deve fare ricorso, e
la letteratura equestre è spesso difficile da utilizzare.
Tutti i grandi autori equestri sono stati degli écuyers
eccezionalmente dotati, per i quali le difficoltà, per così dire, non
esistevano. Le hanno incontrate poco e indicano ancor meno i metodi per
superarle.
I loro lettori, anche se sensibilmente al di sopra della
media dei cavalieri sperimentati, si imbattono invece ad ogni passo in queste
difficoltà, le cui soluzioni non sono mai state fornite e nemmeno suggerite.
Certi procedimenti da cui i grandi artisti traggono i più
mirabili effetti non danno che delusioni a cavalieri anche di discreta abilità.
”Lo sperone, diceva Baucher, è un rasoio nelle mani di una scimmia”- ma non
vale solamente per lo sperone, anzi possiamo dire che più uno procede nel
lavoro, più sono grandi i pericoli della sua applicazione.
Ho pensato che potrebbe essere utile per gli allievi del
dressage stabilire il più esattamente possibile la nozione di “bene e male”,
così come è attualmente ammessa da tutte le giurie internazionali e quindi assolutamente
conforme alla tradizione di Scuola Francese.
D’altra parte, indicando i livelli successivi di una
progressione adatta alle esigenze delle prove internazionali moderne, mi è
sembrato interessante esporre i diversi procedimenti che permettono di consolidarli,
proponendo sempre di preferenza non il procedimento più spinto, ma il più
sicuro, cioè a dire quello la cui applicazione offre meno difficoltà ed espone
meno a degli errori irreparabili.
Ho indicato quasi sempre i titoli delle opere e i nomi degli
autori in cui sono esposti tali procedimenti, raccomandando al lettore di
riferirsi il più possibile a queste fonti.
Quando non l’ho fatto è perché mi è stato impossibile
trovare esattamente l’origine di un’idea che non è altro che una reminiscenza.
Non vi è dunque nulla di mio in questo studio. È una
selezione con dei suggerimenti per guidare le scelte del lettore nell’arsenale
dei mezzi che gli presento.
Il mio obiettivo è facilitare il lavoro dei cavalieri che
vogliono affrontare l’equitazione artistica.
La mia sola ambizione sarebbe quella di esser riuscito,
anche in misura molto modesta, ad aiutarli.
Tra le numerose critiche che merita questo studio, a mio
avviso, quella di mancare di semplicità è la più grave e me ne scuso.
I principi dell’equitazione sono semplici, ma la loro messa
in pratica lo è molto meno. I procedimenti dell’arte equestre sono numerosi e
vari. Si è potuto riassumerli in una formula sintetica e pittoresca ”tirare in
su e picchiare dentro”, ma non c’è dubbio che non si ricava molto a riferirsi a
questa battuta.
Il successo dell’addestramento metodico è fatto di mille
dettagli, nessuno dei quali è da dimenticare. Senza la pretesa di rilevarli
tutti, è senza dubbio utile segnalare almeno quelli la cui omissione compromette
gravemente il valore dei risultati attesi.
In equitazione, come in politica, è necessario guardarsi
dalle semplificazioni; finiscono quasi sempre per complicare le cose.
Questo libro non ha nulla di dottrinale. E non è neppure
l’esposizione di un metodo, ma un repertorio di procedimenti classificati
nell’ordine del loro impiego, è, in breve, un semplice manuale di cucina
equestre.
Generale Decarpentry,
1949
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