Intervista
a LOUIS VALENÇA
Di
Marzia Biraghi
Nel mese di Giugno ho avuto occasione di ritornare in Portogallo.
In previsione della fiera di Verona dove noi della SIAEC volevamo
rendere
tributo a quello che è stato uno dei più grandi maestri del
nostro secolo nella ricorrenza del decimo anno della sua scomparsa, ho
pensato di intervistare il Sig. Luis Valença, proprietario del centro
equestre di Leziria Grande a Vilafranca de Xira, vicino a Lisbona. Luis
Valença è universalmente noto come maestro di equitazione
e per i magnifici spettacoli equestri che organizza non solo nel suo
centro,
ma ovunque in Portogallo e nel mondo. Egli è stato allievo e amico
di Nuno Oliveira col quale, peraltro, era anche imparentato, avendo
quest’ultimo
sposato una sua cugina.
Mi
ha
ricevuta con grande cortesia e ospitalità e si è
prestato volentieri a quest’intervista in cui ritengo abbia tracciato
il
vivido ritratto di un personaggio tanto difficile e complesso da
descrivere.
-D.-: «Come è incominciato il suo rapporto
con Nuno Oliveira?»
-R.-:
Io incominciai a montare quando ero molto giovane, grazie
al mio padrino di battesimo che era un appassionato di equitazione e
possedeva
alcuni cavalli. Colui che mi mise in sella fu un grande Maestro
appartenente
alla vecchia scuola, ‘Baucherista’ convinto, che all’epoca aveva 82
anni
e che seguiva i cavalli del mio padrino. Un giorno, mentre ero al
maneggio
con quest’ultimo, arrivò Oliveira per vedere un cavallo che era
in vendita. Mi chiese di montarlo per poterlo osservare. Io accettai
volentieri.
Si trattava di un cavallo lavorato e addestrato secondo il sistema
Baucher,
in grado di eseguire tutte le più complesse arie di alta scuola.
Cercai di esprimere il meglio di me stesso e del cavallo nonostante la
mia modesta e breve esperienza. Quando scesi Oliveira mi disse: «Molto
bene, ma l’equitazione non è questo!» Questo succedeva a mezzogiorno.
Alle due del pomeriggio rientrai a casa per colazione e mia madre mi
disse:
«Sai chi è al telefono con me da più di un’ora?»
Era Oliveira che mi invitava a recarmi presso di lui perché, dato
che sapeva che volevo diventare un professionista, intendeva parlarmi.
Così feci e, parlando con lui, mi disse che a suo avviso l’equitazione
non si fermava a Baucher, che personalmente aveva un altro concetto
dell’equitazione
e che se volevo intraprendere questa strada era disponibile a darmi
lezione.
Poiché io accettai di buon grado, mi disse subito senza mezzi termini
che potevo andare da lui tutti i giorni ma che alle sette del mattino
dovevo
essere già in sella. Fu così che incominciai la mia lunga
esperienza con questo straordinario uomo e Maestro.
-D:-:
«Dovendo parlare di Oliveira, quali sono gli aspetti
della sua persona che metterebbe più in risalto?»
-R.-:
Ciò che più mi preme trasmettere di Oliveira
è la sua straordinaria, sincera e profonda passione per il cavallo
e per l’equitazione.
In
lui
albergava il fuoco della passione per il cavallo: quando
aveva nelle mani un cavallo nuovo impazziva di gioia come un bambino di
fronte a un giocattolo a lungo desiderato. Si precipitava allora per
vederlo,
per fargli la toilette, per lavorarlo, come se fosse il primo cavallo
della
sua vita.
Non
ha
mai avuto i mezzi per comprare cavalli di qualità
straordinarie, per cui i cavalli mediocri con cui era costretto a
lavorare,
hanno costituito per lui una fonte e un laboratorio ricchissimo di
esperienze.
Era un uomo che lavorava dalle cinque del mattino fino a sera. Lavorava
quotidianamente anche per 14 ore e, di sicuro, quando riposava pensava
al lavoro da eseguire sui suoi cavalli nel giorno seguente.
Il
successo che quest’uomo ha avuto lo deve alla sua passione
che andava al di là del normale, difficile a tradurre in parole.
Le sue grandi passioni erano l’equitazione e la famiglia
Verso la fine della sua
vita,
quando tornava da alcuni dei suoi stages
più importanti, la prima cosa che voleva era che io gli trovassi
un nuovo cavallo. Non era un uomo avvezzo alla routine, ma, al
contrario,
un uomo che creava sempre qualcosa di nuovo, per provare nuove
esperienze
e poter sperimentare cose nuove. Mi diceva: »Avrei voglia di un cavallo
baio con questa o quella qualità» oppure: «Vorrei un
grigio un po’ arabizzato» o ancora: «Mi piacerebbe un incrocio
fra la tal razza e la tal altra...» ‘Aveva voglia...’ Questa
era la passione. Era come un artista che ‘ha voglia’ di fare un quadro
che esprima determinati sentimenti, che abbia determinati significati,
con determinati colori. E io gli rispondevo «Vedrò cosa posso
fare, vedrò quello che trovo.» E così incominciavo
a cercare. Un’ora dopo, due al massimo, mi telefonava e mi chiedeva:
«Hai
trovato qualcosa d’interessante? Hai trovato il cavallo?» E non taceva
neanche un minuto. Questo comportamento era il frutto della sua
passione!
Mi telefonava spesso alle cinque e mezzo del mattino... «Sei sveglio?»
«Adesso che mi hai telefonato, sì, certamente sono sveglio!»
«Questi giovani... sanno solo perdere tempo!». ‘Perdere tempo’...
Diceva: »L’uomo deve dormire per riposare il necessario. Per il resto,
l’uomo ha una sua funzione nella vita.» E lui una funzione ce l’aveva,
e assai piena! Ed era felice per questo. Era un uomo sicuramente
infelice
per tanti altri motivi, ma felice perché animato da una profonda
passione. Nel momento in cui io trovavo un cavallo con i requisiti
richiesti,
veniva da me, lo guardava, e, se soddisfava le sue esigenze, lo
comprava
e subito pensava al trasporto, preoccupandosene come il padre si
preoccupa
di trasportare il figlio nelle migliori condizioni per la paura che si
possa far male o che succeda qualcosa di irreparabile. I poveri
trasportatori
lo guardavano come se fosse matto!
Ma
tutto questo era dovuto alla pressione della ‘voglia’ di sperimentare
e creare qualcosa di nuovo.
Un
uomo che aveva già, presso di sé, molto lavoro
e molti cavalli da montare, ma la ‘cosa’ nuova costituiva sempre una
nuova
esperienza. Credo che questo facesse parte della sua vita, e, in parte,
questo modo di essere gli ha procurato il successo che si meritava.
Anche
con i suoi allievi desiderava ardentemente che essi facessero
le cose come lui le pensava. Talvolta si arrabbiava molto, soprattutto
verso la fine della sua vita. Ma bisogna cercare di capire: Oliveira
era
un uomo che viveva nel suo mondo, costituito principalmente dal ‘suo’
mondo
equestre, da lui creato, che molto si differenziava da quello al di
fuori.
Il resto della gente viveva in una realtà un po’ plastificata, mentre
per lui esistevano solo il suo mondo e l’equitazione. Fra gli allievi
di
un maestro ci sono sempre quelli più dotati e quelli meno. Talvolta
si arrabbiava anche con quelli maggiormente portati perché si diceva:
«Ma come?! Ho dedicato tutta la mia vita all’equitazione, a questo
nobile animale che è il cavallo e non riesco a trasmettere quello
che provo dentro di me!» Erano i momenti negativi in cui gli allievi
dovevano combattere con se stessi e piegarsi alle insistenze e alle
intemperanze
del maestro, ma lo facevano di buon grado perché sapevano di avere
il privilegio di stare nel tempio di un grande sapiente.
Ricordo,
un giorno, il Prof. Da Costa, luminare della chirurgia,
aver pronunciato queste parole: «Nuno, di tutti i professionisti
che conosco, in tutte le professioni, sei il più efficace, dotato
e profondo, perché hai dedicato tutta la tua vita, persino i momenti
di riposo, al tuo lavoro» Ma non era una questione di testardaggine,
bensì di passione. Era un uomo che cercava sempre la verità.
Io ritengo che nel
mondo
equestre ci siano stati tre grandi geni:
Senofonte,
La Guerinière e Baucher. Con questo non voglio dire che tutti gli
altri grandi non abbiano avuto la loro parte, anche assai importante,
in
equitazione, ma con quel fuoco, quella passione e quella genialità,
i primi tre si sono distinti dagli altri. E io paragono molto Oliveira
a Baucher. Non tanto nella metodologia, ma perché quest’ultimo ha
condotto una guerra terribile per propugnare un sistema di equitazione
da lui inventato e, al termine della sua vita, si è reso conto che
questo sistema era sbagliato ed ha avuto il coraggio di enunciare
pubblicamente
che non era così che bisognava procedere con i cavalli, bensì
in un altro modo ancora. E Oliveira ha fatto più o meno la stessa
cosa. Era sempre in cerca della ‘verità’. Ha dunque passato delle
fasi, che io posso testimoniare perché le ho viste e ho seguito
il suo lavoro passo a passo, e, per ogni fase del suo lavoro, aveva
delle
spiegazioni. Ma in realtà, cosa cercava Oliveira quando lavorava
i suoi cavalli? La bellezza. Egli diceva: «Cerco sempre la bellezza,
ma non ci può essere bellezza senza amore.» Ed è vero.
E con queste premesse egli lavorava i suoi cavalli, da qui la
differenza
rispetto agli altri sistemi che, tutti, senza distinzione, appaiono
meccanici,
angolari, ripetitivi, di routine. Dico questo nel tentativo di
trasmettere
un po’ l’idea di chi e come era il Maestro Oliveira.
Ma
chi
era Oliveira? A parte l’equitazione, era un capo famiglia
straordinario. La sua maggior preoccupazione, insieme all’equitazione,
era la famiglia: la moglie, i figli. Ricordo, erano gli anni sessanta,
quando al mattino presto entrava in maneggio per lavorare i suoi
cavalli
e, a quell’ora, non c’erano allievi ammessi, perché le lezioni
avvenivano
più tardi, quando lui aveva terminato di lavorare i propri cavalli.
Fra un cavallo e l’altro, attendendo che il palafreniere gli conducesse
il prossimo da montare, telefonava a casa, magari soltanto per chiedere
alla moglie come stava, o per mandarle un bacio o per dirle ‘ti amo’.
Io
rimanevo esterrefatto di fronte a qualcosa che mi sembrava puerile. Mi
domandavo se era normale per un uomo di quell’età - allora aveva
circa 42 anni - comportarsi così! Ero troppo giovane
per capire che, invece, era il suo spirito che aveva bisogno di
esprimersi.
Egli era se stesso sempre: con la famiglia, con gli amici, con il mondo
circostante, con i cavalli. Aveva una personalità differente da
tutte le altre, nella sua parte positiva, ritengo.
Certe
persone hanno trasformato tutto questo, e, mal interpretandolo,
hanno detto che era follia.
Ebbene,
io posso dire che sì, era una follia, se in questa
risiedono amore e passione tali come lui li viveva.
Oliveira
era anche un uomo pratico. Nel 1962 doveva fare una presentazione
a Lucerna, che sarebbe stata filmata in eurovisione, con Euclide e Beau
Geste. Il giorno prima li aveva presentati all’Haras di Avenches. Un
palafreniere
era incaricato di venire a prendere i cavalli con un camion per
trasportarli
nelle scuderie dove si sarebbe svolto lo spettacolo il giorno
successivo.
A sera inoltrata non si vedeva arrivare ancora nessuno. Oliveira non si
perse d’animo: montò su Euclide, fece montare Beau Geste a un
funzionario
dell’Haras e insieme percorsero a cavallo 20 Km fino a Faoug dove i
cavalli
furono alloggiati in una scuderia e i cavalieri poterono riposare in un
albergo. L’indomani mattina alle cinque un vagone speciale per cavalli
fu attaccato al treno per Lucerna. All’arrivo, Oliveira fu costretto ad
attraversare la città, in mezzo al traffico, con Euclide alla mano
seguito da Beau Geste tenuto da un uomo che non aveva la più pallida
idea di cosa fosse un cavallo!
-D.-:
«Essendo un uomo perennemente in cerca della verità,
animato da sincera passione e con il desiderio costante di
sperimentare,
avrà passato diverse fasi in equitazione.»
-R.-:
Negli anni ‘70, quando Oliveira si recava ormai spesso all’estero,
per presentarsi a concorsi e manifestazioni con i suoi cavalli, quando,
così facendo, mise in moto quel meccanismo che da allora non si
è mai più arrestato, e cioè quello dell’esportazione
dei nostri cavalli all’estero dove, fino a quel momento, erano
pressoché
sconosciuti, incominciò anche a sperimentare cavalli diversi,
appartenenti
a diverse e molteplici razze, e cavalli da competizione. Allora, anche
il suo modo di praticare l’equitazione cambiò: divenne più
nel movimento in avanti, anche con i lusitani. E lo si poteva notare,
per
esempio, nell’estensione dei trotti e persino nel modo di presentarli:
con la criniera tagliata. Ma tutto questo avveniva, però, senza
mai perdere di vista il suo ideale nell’equitazione: la bellezza e la
leggerezza.
Poi
ritornò ad un tipo di equitazione più portoghese
(ed è il momento di Soante) per passare, successivamente, ai cavalli
incrociati, per esempio di origine russa. Ecco allora Bunker, un
cavallo
giudicato impossibile da addestrare in alta scuola; un cavallo che
proveniva
dalle corse, lungo, sul garrese, assolutamente non adatto a questo tipo
di servizio. Eppure riuscì ad ottenere dei risultati che avevano
dello stupefacente! Chiunque avesse visto Bunker prima del suo lavoro e
dopo, non avrebbe mai potuto asserire che si trattava dello stesso
cavallo!
A
proposito di ciò che dicevo poc’anzi sul cavallo lusitano
e, più in generale, iberico, poco conosciuto all’estero, mi preme
sottolineare un dato di fatto determinante: Oliveira ebbe il coraggio
di
uscire dai confini del suo Paese con i cavalli portoghesi negli anni
‘60.
La prima volta che si presentò all’estero fu in Svizzera, a Ginevra
con Beau Geste. Per quei tempi, soprattutto nel mondo dei concorsi
ippici,
chiunque avrebbe giudicato assurdo e impensabile l’eseguire una
presentazione
con un cavallo iberico, ritenuto un cavallo di seconda scelta. E’
grazie
a lui che il cavallo iberico, identificato dal grande pubblico, laddove
conosciuto, con le stampe antiche, fa il suo primo ingresso ufficiale
nel
mondo dell’equitazione. Tutti gli allevatori portoghesi devono a lui la
loro fortuna: fino ad allora il cavallo iberico era sempre rimasto nei
confini della sua terra, allevato e selezionato per la tauromachia.
Oliveira
ha mostrato al mondo intero le qualità e la duttilità di
questa razza.
Pongo
l’accento su questo perché mi duole constatare che
un così grande uomo, non solo appassionato per l’equitazione, ma
propugnatore convinto del cavallo lusitano, che tanto si è battuto
per farne conoscere le qualità nel resto del mondo, è caduto
nell’oblio e non viene nemmeno menzionato dal grande numero di
allevatori
odierni.
-D.-:
«Mi è stato detto che ad un certo punto della
sua vita ha incominciato a sperimentare cavalli non autoctoni anche
perché
non si sentiva capito nel suo paese, dove si tendeva, piuttosto, ad
associare
la sua bravura alla grande docilità e duttilità del cavallo
portoghese. E’ vero?»
-R.-: «Sì, è vero, e Le
spiego
perché. All’inizio
della sua carriera equestre, negli anni ‘40, il mondo dell’equitazione
era in mano ai militari. Se un civile ‘osava’ distinguersi per
capacità,
veniva subito penalizzato. E, durante la sua giovinezza, accadde
proprio
questo. Ma lui non si lasciò sopraffare. Incominciò a farsi
notare e, a proposito di questo, posso raccontarLe un aneddoto. Era
l’epoca
della fiera di Golegã (paragonabile alla nostra antica fiera di
Verona, quando questa aveva ancora un sapore più paesano ma, non
per questo, era meno importante), Oliveira aveva allora circa 22 anni.
Vi andò per il concorso di morfologia, al quale assistevano molti
dei colonnelli di cavalleria, presenti per valutare l’eventuale
acquisto
di cavalli. Oliveira si trovava al centro della pista e stava montando
un cavallo appartenente ad una famiglia per la quale lui lavorava. Alla
presenza di tanti colonnelli volle un po’ provocare esibendosi in
passage
e piaffer. Quando dico ‘provocare’, non intendo dire che volesse
mettersi
in mostra per un mero senso di vanità, ma, al contrario, che tentava
disperatamente, ad ogni occasione possibile, di dimostrare che
l’equitazione
poteva anche essere un’altra cosa: e cioè il frutto sì di
una tecnica, perché senza di questa nessun cavaliere può
certo ritenersi tale ed emergere, ma intrisa di bellezza, leggerezza e
armonia. Il commento dei colonnelli fu positivo sebbene condito con
qualche
nota di disapprovazione, perché, data l’epoca e il sistema vigente,
un civile non poteva certo emergere sui militari. Allora il Maestro non
si perse d’animo e, senza sollevare discussione alcuna, facendo finta
di
non aver sentito, si mise ad eseguire più di 360 cambiamenti di
piede sull’otto, finché uno dei colonnelli disse «Basta, è
sufficiente!».
Era
un
uomo che è riuscito nel suo mestiere con le proprie
capacità e con i propri mezzi. Ma ha sempre sofferto delle gelosie
altrui.
-D.-:
«Parlando e sentendo parlare di Oliveira, mi è
stata trasmessa questa impressione: che fosse molto apprezzato dai
grandi
cavalieri contemporanei, come Podhajsky, Durand ecc., ma che fosse mal
visto dalla grande moltitudine.»
-R.-:
E’ vero: fu apprezzato dai geni dell’equitazione, ma odiato
da tutti gli altri che, animati da invidia e gelosia, lo criticarono
non
soltanto come cavaliere ma anche come uomo, facilitati dal suo
carattere
schietto e passionale che ben si prestava alla critica. Dimenticato,
dopo
la morte, persino dalla Federazione Equestre, sopravvive nel vivido e
caloroso
ricordo dei suoi allievi che furono numerosissimi.
Lei
ha
menzionato Podhajsky e Durand. Le cito due esempi. Nel
‘54 la Scuola Spagnola di Vienna venne a fare una presentazione
all’arena
di Campo Pequeno a Lisbona. L’organizzazione invitò i cavalieri
di tauromachia David Ribeiro Telles e José Rosa Rodrigues, perché
partecipassero allo spettacolo del gran finale dando una dimostrazione
di tauromachia a cavallo. In questo tipo di spettacolo, per tradizione,
prima della lotta contro il toro, i cavalieri sfilano a cavallo in
costume
settecentesco eseguendo figure d’alta scuola. A tale parata si pensò
di far prendere parte anche il Colonnello Podhasjky sul suo lipizzano
Pluto.
Telles aveva un cavallo grigio, ma non così era per Rodrigues. Fu
domandato, allora, a Oliveira di portare il suo cavallo Garoto, bianco
come la neve, ma poiché questo non era mai entrato in arena, il
Maestro decise di montarlo qualche minuto prima di consegnarlo a
Rodrigues.
Podhasjky, che era nell’arena, acconsentì che Oliveira entrasse.
Per una buona mezz’ora fece fare al suo cavallo tutto ciò che il
Colonnello eseguiva sul proprio. Quando scesero da cavallo furono
presentati
da Fernando Sommer d’Andrade e Oliveira disse a Podhasjky che era stato
un onore per lui poterlo veder lavorare e che apprezzava molto la sua
equitazione.
La cosa fu reciproca e da quel momento nacque un rapporto di profonda
stima
e amicizia. Quando Oliveira si recò a Vienna, fu ricevuto con grande
cortesia e ospitalità.
Nel
‘62 si trovava a Parigi con il suo cavallo Euclide. Fu chiamato
al telefono dal Capitano Durand (poi divenuto Colonnello e écuyer
en chef di Saumur) da parte del Colonnello Chevalier che gli metteva a
disposizione un van per condurre Euclide a Fontainbleu dove avrebbe
dovuto
montarlo in presenza degli ufficiali che vi si trovavano. Poiché
la cosa era impossibile a realizzarsi dati gli impegni già presi
da Oliveira, questi invitò il Capitano Durand e il Luogotenente
Croute a montarlo. Quando Durand scese dal cavallo, dopo averlo montato
in maniera brillante, disse: «Che messa in mano! E’ il cavallo che
ci vorrebbe per l’ècuyer en chef del Cadre Noir!» Da quel
momento divennero grandi amici e, successivamente, fu invitato a Saumur
per trasmettere la sua esperienza ai cavalieri di quell’accademia, dove
si recò a più riprese.
Come
vede, fra grandi cavalieri non ci sono meschinità
e problemi di invidia, bensì la voglia di confrontarsi, di imparare
e sperimentare cose nuove e di avvalersi dell’esperienza altrui.
-D.-:
«Tutti i cavalieri, allievi di Oliveira, che ho conosciuto
mi hanno sempre descritto il suo maneggio e i loro soggiorni presso di
lui in termini entusiastici...»
-R.-:
Oliveira era dotato di una personalità sorprendente,
anche se a volte, data la sua schiettezza, la sua profonda sensibilità
e la sua passionalità, il suo carattere appariva spigoloso.
Non
inseguì mai il denaro né mai si perse per denaro.
I suoi guadagni erano a profitto della famiglia e investiti in cavalli.
Quello che cercò sempre di fare era di trasmettere la sua profonda
conoscenza equestre, la propria passione, l’ossequio per il cavallo,
rispettando
un ideale di bellezza e amore.
Ad
un
certo punto della sua vita, quando raggiunse finalmente
i mezzi per rendersi completamente indipendente, si innamorò di
un terreno nella zona di Avessada e lo comprò con l’entusiasmo tipico
della persona passionale. La proprietà si trovava confinata in una
zona lontana dalla capitale ed era molto isolata. Inizialmente non era
addirittura possibile raggiungerla dal villaggio in auto poiché
non esisteva nemmeno la strada e bisognava percorrere 1 Km a piedi. Ma
lui vedeva già realizzato il disegno che era nella sua mente.
Il
maneggio era piccolo, freddo d’inverno, ma con un’atmosfera
straordinaria, magica, soprannaturale ed era sempre inondato di musica.
Nonostante le difficoltà per arrivarci, la gente vi ci si recava
con lo spirito e il rispetto di chi si reca in una cattedrale o in un
santuario.
Chi andava da lui sapeva, ma soprattutto sentiva, di essere nel tempio
di un grande Maestro. Tutto questo può apparire romantico e sdolcinato
o addirittura esagerato. Ma per chi ha vissuto queste esperienze, Le
posso
garantire che queste erano le sensazioni che si provavano.
Le voglio raccontare un episodio che, di tutti, è quello che più
mi ha colpito e che sempre rimarrà nel mio cuore. - Un giorno, mentre
stava montando, scese dal cavallo perché chiamato con urgenza al
telefono. Rimase parecchio tempo al telefono. Tornò visibilmente
commosso. Ordinò al palafreniere di riportare al box il cavallo
che stava montando e di portargli un anglo-arabo appartenente ad una
cliente.
Cambiò la musica (Oliveira ha sempre montato ascoltando musica
classica.
Era un grande appassionato d’opera e il suo autore preferito era Verdi)
e mise il Requiem di Verdi. Quando il cavallo arrivò, lo montò
ponendosi al centro del maneggio in direzione della montagna di fronte.
Eseguì una flessione a destra e una a sinistra, fece indietreggiare
il cavallo di qualche passo e lo mise al piaffer. A partire da quel
momento,
furono venti minuti di equitazione sublime che, per noi spettatori
ignari
di cosa si stava agitando nel cuore del maestro, ci lasciarono col
fiato
sospeso per la bellezza dei movimenti e dell’atteggiamento del cavallo
e per la sintonia che fondeva cavallo e cavaliere. Al termine di questa
breve sequenza scese da cavallo, disse che quel cavallo non l’avrebbe
montato
mai più e si mise a piangere. La proprietaria del cavallo si era
suicidata. In pochi brevi istanti era riuscito a fondere natura,
sentimento
e arte. Infatti, avvolto da una musica potente, consacrata alla memoria
dei defunti, volle montare per l’ultima volta il cavallo, elemento
della
natura, appartenente a quella che fu una delle sue più assidue allieve,
ispirato dal paesaggio circostante e trasfondendo e sublimando la
propria
costernazione e il proprio dolore nell’espressione più pura dell’arte
equestre: il piaffer in leggerezza. Era un uomo pieno di amore per le
cose
della vita: l’amicizia, la famiglia, la passione per il cavallo.
Disegni
tratti dal libro: "Nuno Oliveira" di Jean Louis
Sauvat - edizioni Belin
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