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Equitazione Sentimentale

 

Una puntualizzazione sull'evoluzione del morso nella prima metà del XVIII° secolo.

  Gettare uno sguardo sulle bardature della prima metà del XVIII° secolo, non è cosa poi così difficile. Sembra che praticamente tutti gli écuyers avessero usato lo stesso "abbigliamento del cavallo" di cui si trova una dettagliata descrizione nel "Le Nouveau Parfait Maréchal" del 1741 di Francois de Garsault. Capitano degli Haras, egli fu il primo direttore dell’Haras du Pin. Questa descrizione in quattro capitoli, illustrati da numerose tavole fuori testo dell'autore, consta di una cinquantina di pagine e tratta delle imboccature, dei capezzoni, testiere, paraocchi ed in particolare delle selle e della loro costruzione. Nostro obbiettivo non è la nomenclatura delle parti della bardatura, ma piuttosto la loro evoluzione, di cui l'opera di La Guérinière segna una tappa importante. Dobbiamo risalire al XVI° secolo ed esporre ciò che l'equitazione italiana ci ha lasciato in eredità, e verificare ciò che noi ne abbiamo fatto nel corso della nostra pratica.

  La particolarità dell'equitazione europea, elaborata in Italia e descritta a partire da Grisone, risiede in quello che noi oggi chiamiamo una "ristrutturazione posturale" del cavallo. Essa si basa su due elementi: il ramener (ricondurre) ed il rassembler (riunire), che sembrano complessivamente associati. Il termine italiano “aggropparsi” che il francese traduce con ammassarsi, riunirsi, rende bene l'idea del raccogliersi, quello delle masse al di sopra degli appoggi. Tale sovrapposizione delle masse si manifesta a due livelli, da una parte concerne il reflusso del braccio di leva testa - incollatura al di sopra dell'appoggio anteriore e d'altra parte l'avanzare dei posteriori, che sono così indotti a prendersi in carico una parte maggiore della massa del corpo del cavallo. La Gueriniere ne parla a proposito della mezza fermata: "con questo aiuto gli si raccoglie e gli si sostiene il treno anteriore, lo si obbliga, di conseguenza, al tempo stesso ad abbassare le anche."

  Se i cavalli non possedevano una morfologia favorevole all'acquisizione ed al mantenimento di questa postura, certi écuyers di quell'epoca pensarono fosse possibile porvi rimedio con la forma del morso. Nacque così l'usanza che la briglia si dovesse adattare non soltanto alla forma ed alla taglia della bocca, della lingua, delle gengive. della commessura delle labbra, della mascella e del mento, ma in più "alla giusta incurvatura ed alle varie forme del collo del cavallo". Ne conseguì una varietà impressionante di forme delle differenti parti del morso, quali si possono ammirare nelle tavole dei testi di Grisone e di Fiaschi. Con Pignatelli, discepolo di questi due écuyers, comparve l'idea che bisognasse usare il morso più semplice possibile, lo stesso con tutti i cavalli e, soprattutto, che non si dovesse cercare di ottenere una data attitudine impiegando mezzi di costrizione fisica. È con Salomon de La Broue, nei suoi "Préceptes du Cavalerie francois" (I° edizione 1594), che noi ne abbiamo un racconto dettagliato:

  "A questo proposito direi che molti maestri del passato o maestri poco sapienti in quest’arte, biasimarono spesso  quel grande e capace personaggio che fu il Signor Giovan Battista Pignatelli, poiché non si era adeguato alla diversità delle briglie e dei capezzoni, quasi con l’intento che si pensasse che gli effetti gli erano sconosciuti. E, al contrario, è questo che mi ha fatto un tempo ammirare il suo sapere e che mi ha maggiormente determinato a ricercarlo e servirlo, con l’intima convinzione che, poiché egli rendeva i cavalli così obbedienti, così maneggevoli in arie di rara bellezza, come si vedevano alla sua scuola, senza tuttavia servirsi comunemente di altri morsi, se non di un cannone ordinario, con un comune capezzone, le sue regole e la sua esperienza dovevano avere ben maggior effetto che la maniera di fare di tutti quelli che si servivano di cotanti artifizi, di un'infinità di briglie e di qualche particolare segreto, il più sovente inutile, a cui tuttavia facevano ricorso, quando mancavano loro i migliori e principali mezzi dell'arte. Non voglio biasimare, nonostante ciò che ho affermato, quelli che sono curiosi e che fanno professione di proporzionare in modo corretto e delicato la briglia  secondo le parti e le qualità della bocca del cavallo, come spiegherò in luogo più appropriato: io lodo piuttosto alquanto la loro industriosa e necessaria pratica, purché guidata da un buon giudizio e purché non applichino i loro artifizi che allorquando il cavallo saprà obbedire secondo la sua capacità con un cannone ordinario, tale quale è qui rappresentato. Poiché infine bisogna considerare che l'uomo stesso, capace di ragionamento, non è in grado di fare senza difficoltà ciò che non ha mai fatto o inteso, è dunque errato pensare di costringere in modo repentino un animale che non possiede capacità di ragionamento." (edizione del 1610, p.18, § 2)

  Nella prefazione del “Troisième livre des Préceptes traictant des moyens propres à emboucher le cheval”, La Broue trae le conclusioni su ciò che aveva appreso da Pignatelli:

 “Se tali cose fossero fattibili, noi addestreremmo i cavalli e gli uomini con molto meno tempo e pena, senza partire dalla bottega del fabbro per ordinare dei morsi che avessero la proprietà miracolosa di far apprendere in un istante all’uomo ed al cavallo ciò che essi ancora non sanno persino ciò che sarebbe al di là delle loro capacità naturali”.

  Tutte queste idee si trovano riformulate con chiarezza nel capitolo VI° de ”L’Ecole de Cavalerie”.

  Il morso alla Pignatelli resterà in uso da noi per molti anni.

  Settanta anni dopo l’apparizione del libro di La Broue, Jacques de Solleysel (1617 – 1680), ecuyer ordinario della Grande Ecurie du Roi, indica nel “Le parfait maréchal” (I° edizione 1664) l’evoluzione avviata poi. Benché vi si trovi ancora l’idea che il morso potesse servire a smorzare i difetti di costruzione del cavallo, questo avveniva solo per un’azione indiretta sul palato e non direttamente sulle barre, come può essere il caso, ad esempio, delle false redini attaccate alla briglia ed all’arcione che Fiaschi aveva già condannato.

“Il secondo uso (del trebuchet) serve per le incollature alterate, rovesciate e per le ganasce serrate che indurrete all’esasperazione per l’eccessiva contrattura, se userete un morso ad aste audaci (con il foro della rotella al di là della linea della stanghetta n.d.t.) con l’occhio (buco superiore dell’asta n.d.t.) in alto per indurle al ramener, poiché la natura si oppone all’obbedienza che voi richiedete loro: bisogna dunque far ricorso a qualcosa che  possa sollecitare il palato senza disturbarlo, questo trebuchet è destinato a ciò; esso lo importunerà soltanto con quella rotella che sta in alto ed il cavallo, per difendersi da questo disagio, abbasserà il naso e verrà a cercare l’appoggio, che è proprio ciò che noi domandiamo; così si otterrà, senza litigare e senza violenza, lo scopo che ci si era proposto, cioè di piazzare la sua testa nella posizione migliore che si possa ottenere.” (Solleysel, edizione del 1775, p.336 §5)

  Il semplice cannone (in più addolcito dallo snodo), cui si riferisce Solleysel, corrisponde a quello di cui parla La Guérinière.

  “La più dolce e la migliore di tutte le imboccature è un semplice cannone che si chiama cannone a couplet; più esso sarà grosso alle estremità, più sarà dolce poiché avrà minor possibilità di costringere un cavallo.
Nelle scuole ben condotte si vedranno poco o punto altri tipi di briglie, esse conservano la bocca del cavallo sempre sana ed intatta; e, quantunque la lingua ne sopporti tutto lo sforzo, essa non è delicata come le barre, che hanno una sensibilità tale da sentire, attraverso la lingua, la pressione del morso e ricambiano con l’obbedienza ogni minimo movimento della mano. Se dunque il morso appoggiasse sulle barre, questo costituirebbe piuttosto il mezzo per esasperare rapidamente una bocca. Infine, bisogna considerare come una massima scontata che ogni qualvolta lo si può utilizzare, vale a dire che, se si può ottenere da un cavallo tutta l’obbedienza di cui egli è capace con un semplice cannone, è inutile penare a mettergli un altra briglia, poiché quello è il migliore di tutti.”  (Solleysel, edizione del 1775, p.315, §3 e 4)

  Egli ricorda così, da una parte, che l’obbiettivo degli écuyers è quello di tendere ad usare il minor mezzo di contrasto possibile nei confronti del cavallo e, d’altra parte, che il morso non deve agire sulle barre ma soltanto sulla lingua. Questo resterà il marchio della nostra equitazione fino al XX° secolo. Etienne Beudant scrive: “Quando, nella bocca dischiusa, la lingua gusta lo sfiorare del morso, sollecitato dal solo peso delle redini, c’è, qualunque sia la posizione della testa dell’animale, l’armonia, l’accordo perfetto delle forze del cavallo e del suo cavaliere…” L’osservazione di Solleysel è dunque particolarmente interessante da rilevare. Indica molto bene l’evoluzione in corso che conduce, nell’epoca di La Guérinière, all’aggiunta del filetto alla briglia, che rimpiazza così il capezzone nel primo periodo dell’addestramento del cavallo. Quest’aggiunta non compare nelle illustrazioni de “L’Ecole de Cavalerie”, mentre è ben visibile nel ritratto equestre di Nestier. L’uso del filetto da solo sarà il preferito di d’Auvergne e Baucher, dopo aver immaginato un morso di briglia senza barbozzale, inventerà il morso di filetto ben noto, che sarà il solo morso con cui egli addestrerà totalmente i suoi ultimi cavalli. “Il filetto è così bello…” disse al generale L’Hotte nel 1873 sul suo letto di morte.

  Un’altra osservazione concerne l’evoluzione delle aste del morso. Nel morso alla Nestier esse sono molto corte e si può stimare che corrispondano alla norma attuale. La Guérinière critica questo accorciamento, sostenendo che l’azione della mano viene trasmessa troppo rapidamente e, di conseguenza, in modo brusco in rapporto a quello che può essere con delle aste più lunghe.

  Esse erano fiacche (con il foro della rotella al di qua della linea della stanghetta, cioè ripiegata all’indietro n.d.t.) dai tempi di La Broue e di Pluvinel, ma con delle imboccature che egli giudica severe per compensare la loro debolezza. Solleysel ritiene che siano meglio delle aste audaci con un’imboccatura dolce.

  “Ai tempi del Signor de La Broue e del Signor de Pluvinel non si era così attenti a non mettere delle imboccature forti ai cavalli, poiché a quei tempi nei maneggi si vedevano cavalli morfologicamente somiglianti a pere o meloni, sballottanti di qua e di là e si vedevano persino ginnetti; questi signori non erano privi dell’arte di tenere tali cavalli a bada con metodi appropriati, ma le loro aste erano così fiacche che essi erano costretti ad avere delle imboccature forti per tenere un po’ i cavalli sottomessi; ma ora si è cambiato metodo, poiché tutte queste aste fiacche sono state abbandonate, essendo troppo deboli per produrre alcun effetto positivo e si sono fatte delle aste audaci con delle imboccature dolci.”  (Solleysel, edizione del 1775, p.334, § 4).

  È evidente da questo breve studio che La Guèrinière ha saputo riformulare il sapere dei suoi predecessori, estraendone il meglio. “Io mi limito dunque, nel mio lavoro, a sviluppare, per quanto mi è possibile, il vero, il semplice e l’utile di quest’arte…” scrive nella sua prefazione.
 

  Patrice Franchet d’Esperey


  SIAEC - Società Italiana di Arte Equestre Classica