equitazione sentimentale
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Equitazione Sentimentale Ecuyer : scudiero o cavallerizzo ? Chiedo
alla SIAEC un piccolo spazio per esprimere alcuni miei punti di vista
che forse potrebbero essere interessanti per chi, come noi, si occupa -
si appassiona, a vario titolo, di Equitazione Classica. Per mia scelta non sono associato ad alcuna organizzazione equestre, odio le ipporiviste italiane, aborro i cosidetti forum on line, compro da tempo solo libri "classici" di Equitazione, dunque la maggior parte in francese, ma mi considero un vostro simpatizzante e vorrei offrirvi degli spunti di riflessione che ho "la presunzione" di ritenere intelligenti e stimolanti per rivalutare, far risaltare gli aspetti peculiari dell'Equitazione Classica che riguardano la passata cultura equestre italiana. Questi miei "pensieri" vogliono essere un po' provocatori, anticonformisti, ma anche "leggeri". La leggerezza è la più bella forma con la quale si possono esprimere tutte le arti. E questa è forse una presunzione difficile da soddisfare, data la retorica, i luoghi comuni, la pesantezza che afferrano molti di noi - ogni volta - quando trattiamo di cavalli. Probabilmente, sicuramente, i miei ragionamenti saranno eccentrici rispetto alle correnti "linee di pensiero equestri", attualmente in voga nel Belpaese, ma saranno sempre coerenti con l'Equitazione Classica, o meglio con i vecchi Maestri dai quali tutti "i nuovi" rubacchiano ad ogni piè sospinto, senza ritegno. Alcuni anni fa, viaggiavo in treno - mi piace viaggiare in treno - da Diekirch, in Lussemburgo, a Bruxelles. Nella carrozza, poco distante da me, c'erano due ragazzi che parlavano sottovoce nel loro dialetto - anzi nella loro lingua: il fiammingo - assolutamente incomprensibile per uno straniero. C'era molta nebbia, pertanto, mi sono alzato il bavero, calato il berretto sugli occhi ed ho cercato di appisolarmi per recuperare un po' del sonno perduto la sera precedente. Ad un certo punto, nel parlare fitto fitto tra i due giovani, ho sentito qualcosa di familiare, mi è parso di udire, di capire delle parole. Sono un tipo curioso, si sa, e dunque, mi sono messo ad origliare, discretamente. Quasi subito, ho realizzato che i ragazzi - che frequentavano il Conservatorio - parlavano di musica, di Musica Classica, e che di tanto in tanto usavano, come è giusto che fosse, termini italianissimi: andante, allegro, piano, orchestra, sonata ecc. Ho poi attaccato discorso, in francese, e ho scoperto che l'argomento principale era Brahms….ma questo, ora, non ha alcuna importanza. Quello che invece importa è che questa scenetta sarebbe possibile in Giappone, in Canada, in Russia, in Finlandia, nelle rispettive lingue locali, ovunque ci fosse qualcuno che parlasse di musica classica o di musica operistica: - i termini essenziali dell'Arte sono espressi in Italiano e, dunque, sono universalmente riconosciuti, anche se spesso sono espressi con accenti ed inflessioni le più disparate ed improbabili. Ma a nessuno verrebbe in mente di dire happy o gai al posto di "allegro", come nessuno di noi penserebbe - per altro verso - di dire "elaboratore elettronico multimediale di dati e di immagini" invece di "computer"! sarebbe una sciocchezza. Cosa c'entra tutto ciò con l'Equitazione Classica ? C'entra, c'entra ! Perché questa sciocchezza fu perpetrata - nel tempo - francesizzando i termini italianissimi dell'Arte Equestre ed imponendoli poi - giustamente, globalmente - nel Dressage e sottolineo, si badi bene, "giustamente" e "nel Dressage". Ci sono, è ovvio, precise ragioni storico-sociali-culturali perché tutto ciò sia accaduto e accada; per la Musica Classica da un lato, per l'Equitazione Classica dall'altro, e, anche se in questo momento non è l'oggetto principale di questa mia, una comparazione potrebbe essere un'ottima base per uno studio parallelo tra le due Arti, che spesso si incontrano - si sposano in perfetta armonia. La lingua di Dante, nell'uso corrente, ormai non esiste più, naturalmente ha avuto la sua evoluzione (involuzione ?): oggi è sostituita da un linguaggio burocratico-tecnico-anglo-televisivo di facile accezione e di identica cantilena, ma se ci riferiamo o citiamo i Classici (e quando dico classico mi riferisco ad ogni forma di arte o disciplina classica), dobbiamo - dovremmo - almeno tra gli addetti ai lavori, almeno in determinati luoghi, almeno in determinate circostanze, usare la terminologia e le forme che sono proprie e che sono di convenzione comune: - l'italiano per la musica classica, il francese per il balletto, l'inglese per l'informatica, il francese per l'alta cucina, il tedesco per la psicologia, il giapponese per le arti marziali ecc. Del resto qualsiasi associazione scientifica, culturale, commerciale, possiede un proprio linguaggio esoterico che viene usato nelle sedi istituzionali e tra gli iniziati e, d'altro canto, si usano vocaboli diversi per indicare, ad esempio, alcune parti del corpo umano - le stesse - a seconda che siano pronunciate in un congresso di ginecologia o di andrologia, piuttosto che in un teatro di avanspettacolo o in caserma o siano proposte ai bimbi di un asilo infantile. Credo sia superfluo approfondire l'argomento...Mai come in questi casi è valido il detto: la forma è sostanza. Allora, che almeno tra gli "addetti ai lavori italiani", tra i promotori e tra le associazioni che difendono - cercano di difendere - questo nostro patrimonio, forse definitivamente perduto, si ricordi e si usi la nostra terminologia antica, ove non irrimediabilmente desueta e si abbia uno scatto di orgoglio - si dica pane al pane e vino al vino!! Specialmente rapportandoci ai nostri "cugini francesi", come sempre imbattibili sciovinisti, ai quali lasciamo - dobbiamo lasciare - campo libero, lingua libera, nel Dressage. Smettiamola di usare in italiano dei termini francesi derivati, trasformati, a loro volta dall'italiano, quando trattiamo "l'Arte Equestre Classica", che, per sua essenza, nascita e verità storica è italiana - rinascimentale. Ricordiamoci che i nostri Cavallerizzi furono i Maestri dei cosidetti Ecuyers; "stranamente" i nostri amici francesi tendono a "dimenticare" o a minimizzare questi fatti. Ricordiamoci che Caterina de' Medici, verso la metà del '500, andò in sposa al futuro re di Francia, portando con sé il meglio dei prodotti dell'epoca, delle maestranze e degli artigiani, tra cui cuochi, salumieri, vignaioli, armaioli, orafi, distillatori, speziali ecc. Alcuni studiosi fanno risalire a questo avvenimento il momento "fecondante" della grande cucina e della viticoltura francese. Per quanto riguarda il cavallo, pare che la bella Caterina sia stata tra le prime donne a montare alla maniera maschile, facendo a meno del palafreniere; per la bisogna - pare - inventò qualcosa per "monter sans montrer"...cioè le mutande! Ritornando all'argomento che mi sta a cuore, vorrei addurre come esempio della nostra perduta, abbandonata, cultura equestre il termine écuyer . Ho letto "Capire l'Equitazione", testo francese recentemente tradotto in italiano, e vi ho trovato la traduzione di écuyer con "scudiero". Ora, traducendo alla lettera, è vero, écuyer diventa scudiero (la parola deriva dal provenzale: escudier, che a sua volta deriva dal tardo latino: scutàrium, mentre nel latino classico si diceva armiger, cioè in ogni caso portatore di armi), ma in qualsiasi comunissimo dizionario francese-italiano come secondo significato troviamo: cavallerizzo. Noi per écuyer intendiamo: un istruttore di cavalieri, un addestratore di cavalli, uno storico, uno studioso, un conservatore dell'Arte Equestre, un "musicista ed un coreografo", un Profeta dell'Equitazione Sapiente; quattro figure emblematiche, esemplari: L'Hotte, Steinbrecht, Caprilli, Oliveira. Premesso che ogni uomo di cavalli dovrebbe recepire con questo solo sostantivo, écuyer, tutto ciò che ho appena accennato sopra, lasciare la parola in francese sarebbe, dunque, la cosa più saggia, più giusta, la più corretta. La parola resa in italiano - scudiero - non ha affatto la specificità, le qualità sopra indicate. Come impatto immediato - "nell'immaginario collettivo" - come intesa più comune nella gran massa della "ggente" - "lo scudiero" fa venire in mente un giovinotto di belle speranze che "portava gli scudi al cavaliere o al nobile di turno" - appunto. In pratica un "portaborse", un attendente, anche se nella cavalleria medioevale era inserito nell'iter da percorrere per diventare cavaliere: paggio, valletto, scudiero, cavaliere. Oggi leggiamo sui giornali: "Barrichello si è dimostrato molto di più che un semplice scudiero…" - "è stato per tutta la carriera il fido scudiero di Coppi…", cioè portava acqua e rifornimenti al Campionissimo; in definitiva l'immagine che ci viene più immediata e stereotipata è quella immortale di Sancho Panza, scudiero del " Cavaliere dalla Triste Figura", comunque di un subalterno, e in ogni caso - in italiano - di nessuna attinenza con l'Arte Equestre. Sappiamo inoltre che "scudiero" era anche detto colui che sovrintendeva alle scuderie reali, ma che non era necessariamente un provetto cavaliere, o un maestro di equitazione, anzi, spesso, questa qualifica era attribuita come titolo di dignità, e tale rimaneva anche quando il personaggio lasciava l'effettivo incarico operativo. Addirittura il Re poteva dare quest'appellativo come titolo di cortesia - senza che di fatto la persona avesse dei meriti particolari nel campo equestre - un po' come: "dama di compagnia", "valletto", "damigella di corte", "cameriere", "coppiere", "guardiano" "cavaliere"... Comunque, se fosse necessario, se si dovesse, se si fosse obbligati a tradurre écuyer, la traduzione italiana più corretta sarebbe, come riportato nel vocabolario: cavallerizzo (a me piace moltissimo), termine desueto tanto quanto scudiero, ma sicuramente preciso ed elegante. Bisogna però ammettere che nell'accezione comune attuale - cavallerizzo - è piuttosto riferito ai cavalieri che si esibiscono nel circo od ad acrobati che lavorano in spettacoli con i cavalli, ma il termine intendeva, dovrebbe ancora intendere, soprattutto: "cavaliere provetto, maestro di equitazione". Mi
spiego: - solo per ricordarlo a me stesso - dirò che l'Arte Equestre è
nata a Napoli nel XVI secolo, e tutti i termini che, francesizzati, i
nostri "cugini d'oltralpe" ci hanno poi in seguito esportato, sono
italiani. Sostanzialmente, Pluvinel ha tradotto Grisone, ci ha messo
ciò che gli aveva insegnato Pignatelli, qualcosina di suo qua e là, e
voilà: "Le Manege Royale". Dunque, a quel tempo, i signori che
addestravano cavalli alle nuove arie, prima a Napoli e poi presso le
corti delle grandi monarchie e dei grandi Signori europei, erano
chiamati "Cavallerizzi", colui che li comandava, li istruiva, ne era
responsabile, era chiamato "Cavallerizzo Maggiore". L'etimo deriva
dallo spagnolo del '500: caballerizo, da caballero, dal tardo latino
caballus. "Pirro
Ferraro, gentil'huomo napolitano, cavallerizzo presso la corte di
Filippo II…" - "... tra due ali di folla festante, l'infante Carlo III
di Borbone fece il suo ingresso a Napoli il 10 Maggio 1734, con alla
sua sinistra il Cavallerizzo Maggiore..." Esisteva anche "il
Cavallerizzo di Sportello" che era il nobile, o lo scudiero, che
cavalcava a lato della carrozza reale nelle grandi occasioni.Il Del Tufo, pignolissimo cronista della Napoli del '600, ci informa che , dove ora c'è piazza Dante, c'era un rinomatissimo e costosissimo maneggio dove la nobiltà partenopea prendevano lezioni da valentissimi cavallerizzi. Se qualcuno di voi ha voglia di visitare il sito del Vaticano, troverà che alla stipulazione dei famosi "patti lateranensi", era presente, tra gli alti dignitari di sua Santità, anche il Cavallerizzo Maggiore; siamo nel 1932 credo, e teniamo ben presente che non siamo al circo! Può darsi, infine, che con il tempo, il titolo di dignità - Scudiero - e quello d'arte - Cavallerizzo - abbiano sempre più spesso coinciso nella medesima persona, e poiché in Francia la cultura equestre si era - si è - ben radicata, il termine Scudiero abbia prevalso ed abbia assunto quindi, in quella nazione, il significato che indubbiamente in precedenza era appartenuto a Cavallerizzo. Devo comunque riconoscere che nel suddetto libro il traduttore, in una nota a piè pagina, dice praticamente le stesse cose esposte qui sopra, probabilmente - sicuramente -, con più accuratezza, precisione e completezza. Però sceglie poi questa traduzione andando contro l'evidenza, la logica, la comprensibilità, la semplicità, in base ad un ragionamento che ho difficoltà a comprendere. Bartabas, che ho ammirato a Spoleto alcuni anni fa, è uno scudiero? Baucher, non è stato soprattutto un cavallerizzo da circo? ed i Franconi? e Steinbrecht? che cosa sono? Concludo usando, rispettosamente, per sintetizzare, le figure di Oliveira, l'ultimo grande Ecuyer, e del generale L'Hotte, Ecuyer en Chef a Saumur, "le Grand Dieu". "Il generale L'Hotte, Scudiero capo a Saumur". - "Oliveira è stato il più grande scudiero del '900". Non è forse più corretto: "Il generale L'Hotte, Cavallerizzo Maggiore a Saumur" - "Oliveira è stato un sublime Cavallerizzo"? Come abbiamo detto, il termine cavallerizzo ha perso il proprio significato intrinseco - perché? perché abbiamo lasciato ad altri la conservazione e l'evoluzione dell'Arte. L'ultima volta che ho sentito usare questa parola - cavallerizzo - appropriatamente, nel suo vero significato, nel linguaggio corrente, fu dal maresciallo Canto, Maestro maniscalco e mio maestro di vita. Si potrebbe però incominciare, almeno tra noi, appassionati più evoluti, ad usare il linguaggio tecnico equestre italiano, iniziando proprio da cavallerizzo, poi…chissà! Certamente non farò crociate, so benissimo che quanto ho scritto per molti, tanti, troppi "cavalieri" - ahimè - non ha nessuna importanza, ma reputo che coloro che rappresentano l'ultimo residuo di una grande nostra Tradizione, dovrebbero conservare la loro credibilità ed autorevolezza perché "l'entusiasmante alternativa" è -sono "i cauboi" all'amatriciana e "i flamenqueros" padani a cavallo. RdM |
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- Società Italiana di Arte Equestre Classica |