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Equitazione Sentimentale

 
  Il gap dell'allevamento Italiano


  In questo mondo tecnologico e globalizzato, l'allevamento del cavallo è considerato settore economico importante in molti paesi, dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Francia all'Olanda, all'Inghilterra. Anche la Spagna, fiera ed orgogliosa dei propri prodotti, conservatrice ed autarchica, si è lanciata in programmi che possano fare concorrenza ai prodotti dell'allevamento tedesco, attualmente vincente in campo internazionale.
  Il nostro paese negli anni passati ha commesso una serie infinita d'errori a livello allevatoriale, di cui tutti gli appassionati sono al corrente: distrutti alcuni ceppi importanti, meticciati in modo arbitrario altri, introdotte senza orientamento chiaro linee di sangue di varia origine, insomma una politica allevatoriale "fai da te" che ha condotto a grosse difficoltà. Mi riferisco al campo del cavallo sportivo da sella, perché di questo ho specifica conoscenza. Negli ultimi decenni diversi errori si stanno con difficoltà superando ed alcuni allevatori tentano di uscire con grandi sforzi dalla palude ed hanno ottenuto ottimi soggetti. Certamente i buoni prodotti sono spesso italiani solo di nome, perché frutto d'incroci tra cavalli provenienti dall'estero, senza nessuna reale attinenza con razze Italiane. E' un vero peccato che non si tenti di recuperare il nostro patrimonio equino, in caso migliorandolo successivamente, ma partendo da basi nazionali, anche se ormai ridottissime. La Spagna, che potrebbe esserci d'esempio, per inserirsi sul "mercato", non ha rinunciato al proprio allevamento, che, per altro, ha caratteristiche molto specifiche; ha invece puntato sul miglioramento dei propri prodotti, ottenendo ottimi risultati in breve tempo, frutto di una seria e sensata progettualità.
  In Italia un caso a parte è l'attività allevatoriale sarda, che sembra essere pervasa da un fuoco di gran modernità e sviluppo, testimoniando concretamente che in questo campo si possono intraprendere iniziative ed ottenere risultati d'ottima qualità.
 Con tutti gli sforzi che gli allevatori possono fare ed aver fatto, qualunque politica seguano, quando poi si confrontano con i paesi stranieri, si trovano di fronte ad organizzazioni allevatoriali lungimiranti con storie consolidate, programmi strutturati, con centri di ricerca avanzati, non solo finalizzati all'aspetto genetico riproduttivo, ma soprattutto tecnico addestrativo.
 E' questo il vero e pesante gap negativo che i nostri prodotti, frutto di qualunque politica allevatoriale siano, hanno nei confronti d'altri paesi. Consideriamo ad esempio le tecniche di doma: su queste, dall'America alla Francia, dove esistono già condizioni e centri specializzati che non adottano più i sistemi ruspanti, si è avuto un proliferare di ricerche sui nuovi ed ultimi metodi basati sulle teorie etologiche, che sembrano dare risultati incredibili. I nostri allevatori, invece, a volte con superficialità, altre volte per ignoranza, il più delle volte per irreperibilità dei canali giusti, si trovano a domare i propri soggetti con metodi, a dir poco, empirici, praticati da personaggi che sanno domare a volte solo per tradizione famigliare, ma privi totalmente di reali capacità, che confondono troppo spesso etologia con enologia, ed il più delle volte nulla sanno della prima. Questi puledri fin dal momento della doma avranno un gap negativo importantissimo rispetto ai loro coetanei stranieri. Ma continuiamo: gli stessi soggetti sono poi consegnati in mano a preparatori che li dovrebbero condurre alle rassegne ed alla vendita. Sinceramente, dato il livello tecnico medio dei nostri cavalieri di rilievo, e ben sapendo la considerazione e la conoscenza che complessivamente hanno i nostri cavalieri del lavoro in piano, mi chiedo dove, chi, come potranno essere preparati questi puledri.
Curiosa è stata poi l'iniziativa F.I.S.E. di tenere un corso per preparatori rivolto ai giovani, ancor più curiosa è l'ipotesi di affidare puledri a giovani cavalieri. Posso comprendere che si debba avere l'ottica di aprire un settore d'occupazione nuovo per i giovani, e quindi possiamo in tal senso plaudire all'iniziativa, ma, dal punto di vista dei risultati, possiamo prevedere un disastro per i prossimi dieci, venti anni, tempi medi minimi per fare di un cavaliere un addestratore con la giusta esperienza, a patto che sia diretto da un tecnico di grande preparazione ed esperienza. E' purtroppo per motivi storici che mancano in Italia tecnici di tale livello, senza con ciò voler disprezzare nessuno. Non è certo colpa degli attuali tecnici se la loro preparazione deriva da una scuola che, interpretando a mio avviso molto erroneamente ciò che disse Caprilli, non ha competenza sul lavoro in piano e di preparazione tecnica dei puledri. Anzi sono da lodare i tentativi con cui alcuni, in modo del tutto personale, con una ricerca resa difficile dall'ambiente non particolarmente favorevole, tentano di portare fuori da questa tragica secca la nostra equitazione. Gli altri paesi non solo hanno decine di cavalieri esperti nell’addestramento, consapevoli delle sue finalità e della sua progressione, ma possono permettersi di organizzare riunioni che in linguaggio moderno si chiamano "brain-storm", tempeste di cervelli, per ragionare sui metodi migliori al fine di ottenere prodotti sempre più competitivi. Non credo che alcun tecnico italiano fosse presente alla scuola di Saumur, nel settembre scorso, all'incontro d'etologia, in cui specificatamente si parlava di nuovi metodi di doma. Ci sentiamo superiori e sempre poco disposti a cogliere le novità. Questo nazionalismo saccente, che vela un retrogrado ed ignorante provincialismo, non danneggia purtroppo il solo mondo allevatoriale. E' indiscutibile che molti nostri prodotti sono basi ottime su cui si opera una pessima costruzione e purtroppo i risultati mi danno ragione.
La mia esperienza personale, in venti anni di lavoro di riaddestramento su cavalli da recupero, anche in gravi o pessime condizioni, mi ha permesso di incontrare soggetti di differenti razze e provenienze: criolo, mangalarga, westfalen, geldner, renani, andalusi, russi e infine due per così dire italiani, di fatto, un derivato inglese ed un sella francese nato ed addestrato in Italia. Per molti di questi il recupero fisico è stato laborioso ed è stato ha necessario l'intervento del chiropratico per curare alterazioni scheletriche gravi, quali dislocazione dell'ultima vertebra dorsale o peggio dislocazione del bacino. In tutti i soggetti abbiamo recuperato l'alterazione anatomica e la correzione dell'alterazione dinamica, quasi tutti dopo tale recupero hanno fatto rapidissimi progressi negli esercizi, sino a giungere con facilità al passage ed ai cambi di galoppo. La cosa che invece mi ha colpito di più è la difficoltà che ho incontrato coi due soggetti italiani, come se non avessero la possibilità di interpretare le basi del dialogo cavaliere - cavallo, nonostante la disponibilità d'indole e buona struttura fisica. Per giungere a modesti risultati ho dovuto lavorare come se fossero puledri, ma con la difficoltà di problemi che ponevano cavalli di dodici e tredici anni. Questo mi ha indotto a pensare che i cavalli "stranieri", da qualsiasi parte del mondo provenissero, avevano un programma iniziale di base abbastanza comune ed impostato con tecniche differenti, ma su presupposti elementari comuni, cosa che mi ha permesso, superate le problematiche anatomiche, di entrare in dialogo con questi soggetti con facilità; per ciò che concerne i cavalli preparati dagli italiani, nomi non certo di secondaria importanza nel panorama dei nostri cavalieri, questi avevano basi differenti tra loro e fantasiose, che non rispondevano alla dinamica del cavallo, né alle tecniche comuni. In particolare non avevano assolutamente la capacità di gestire i posteriori, ma solo gli anteriori, e quest'elemento ha complicato il lavoro enormemente, non mettendomi a disposizione il “motore”, ma solo e con difficoltà il "volante". Questo credo sia il risultato di un'equitazione che impropriamente ispirata alla naturalezza cela invece un addestramento ignorante e "fai da te", prevalentemente basato sull'uso delle mani e pochissimo sull'equilibrio, sull’assetto e sulle gambe.
  Ritengo che sia necessario per gli allevatori fare uno sforzo importante di spinta perché il lavoro dei loro puledri si stabilisca su programmi tecnici ben strutturati che rispettino la cinetica del cavallo, rifuggendo da luoghi comuni e giovani leve, se vorranno vedere valorizzati i loro prodotti. Perdonatemi la licenza: il valore oggettivo del cavallo è il suo peso carne, il plus valore è dato dalle qualità tecniche di preparazione, e queste non s'inventano, si acquisiscono collo studio dei maestri importanti del passato, quando preparavano migliaia di puledri, e con anni di pratica.

G.M.


  SIAEC - Società Italiana di Arte Equestre Classica